M – il figlio del secolo

Adesso che il clamore si è un po’ sopito, ci sembra il momento di spendere due parole sulla serie che nelle scorse settimane ha attirato l’attenzione del pubblico, della critica e, marginalmente, del mondo politico.

Stiamo parlando di M – Il figlio del secolo, prodotta da Sky e tratta dall’omonimo romanzo di Antonio Scurati.

M – Il figlio del secolo è probabilmente, nel suo genere, l’opera più interessante che sia stata proposta negli ultimi anni in Italia al grande pubblico.

C’erano tutte le condizioni per sbagliare, se così si può dire. Si trattava di raccontare una storia complicata ed evidentemente mai del tutto risolta nel nostro paese: quella di Benito Mussolini e della sua ascesa al potere.

Chiariamo, prima di tutto, un concetto: M – Il figlio del secolo non è e non vuole essere un documentario. È una fiction ispirata a un romanzo. Storico, sì, ma pur sempre un romanzo. Gli spettatori politicizzati o semplicemente più ferrati sull’argomento troveranno senz’altro imprecisioni o lacune ma, in realtà, non si tratta mai di mancanze troppo gravi, perché, fondamentalmente, è stato detto e descritto tutto ciò che era essenziale per la comprensione degli eventi.

Di solito, quando si parla del fascismo, della sua origine e della sua evoluzione, lo si fa con gli strumenti e con le griglie interpretative della storiografia, della politica, della sociologia. In questo caso, invece, i fatti vengono narrati con un approccio drammaturgico e dei linguaggi a dir poco inaspettati.

Quello che davvero colpisce, infatti, è il modo con il quale viene raccontata la storia personale di Mussolini, una storia che si intreccia inevitabilmente con quella del paese, una dimensione privata e politica allo stesso tempo.

Intanto, partiamo dalla regia. Joe Wright, che nella sua carriera ha diretto – tra le altre cose – Orgoglio e pregiudizio, Espiazione, L’ora più buia e, per quanto riguarda la televisione, Carlo II il potere della passione e un episodio di Black Mirror, ha svecchiato il racconto del fascismo con un montaggio dai ritmi frenetici, una fotografia cupa che a volte richiama atmosfere da fumetto e un’ambientazione sempre claustrofobica. La sceneggiatura, curata da Stefano Bises e Davide Serino, è ricchissima di spunti e descrizioni che servono a delineare i profili psicologici dei tanti personaggi che animano la serie. Per le musiche non ci si è limitati al repertorio d’epoca o a qualcosa che richiamasse le sonorità dei primi del Novecento. Tutt’altro. Per quanto assurdo possa sembrare, in una serie che parla del fascismo, hanno affidato a Tom Rowlands dei Chemical Brothers il compito di accompagnare con la musica elettronica lo sviluppo narrativo nei suoi momenti più surreali e grotteschi con l’eccellente risultato di rendere il tutto incredibilmente fresco e moderno.

Dell’immenso Luca Marinelli si è detto molto. Lui stesso ha confessato, nel dichiararsi orgogliosamente antifascista, di aver provato un enorme disagio nel vestire i panni di Mussolini. Gli crediamo, e di certo non lo sfottiamo come ha fatto qualche giornalista di destra e, soprattutto, a corto di argomenti. Marinelli non lo sfottiamo perché è stato semplicemente bravissimo nel rendere credibile un personaggio così complesso. Una caricatura che non deforma ma che, al contrario, sottolinea i tratti più autentici del duce del fascismo. Tutto il cast, a dire il vero, è stato all’altezza: una menzione particolare la meritano, tra gli altri, Benedetta Cimatti che ha interpretato Rachele Mussolini e Francesco Russo nel ruolo di Cesare Rossi.

Un linguaggio moderno e credibile, dicevamo, a partire dalla scelta di mantenere le cadenze regionali con inserti di vero e proprio dialetto in alcuni dialoghi, così come la frequentissima rottura della quarta parete con la quale Marinelli-Mussolini si rivolge al pubblico per chiarire i suoi pensieri, svelare il suo doppiogiochismo, commentare quello che gli succede. Guardare questa serie è sorprendente e, in più occasioni, disturbante. Mussolini è un istrione, una maschera tragica e comica allo stesso tempo, e quasi ci sentiamo in colpa – di tanto in tanto – quando questa maschera ci strappa addirittura un sorriso. Ed è un senso di colpa legato non tanto alla conoscenza che ciascuno di noi può avere del personaggio o della storia, quanto a quello che ci viene continuamente proposto con brutale efficacia: una violenza feroce e parossistica restituita dalla concretezza di scene ai limiti dello splatter o da immagini oniriche che però non perdono mai il contatto con la realtà.

Uno dei meriti di M – Il figlio del secolo è che il fascismo viene finalmente riportato alla sua essenza: un movimento violento, nato dalla violenza e imposto con la violenza. Al di là di tutte le considerazioni e le analisi storiche, sociali e politiche che sono state fatte e che si continueranno a fare, sul perché – a un certo punto – l’Italia si consegnò a Mussolini, con questa serie viene demolita quella falsa credenza secondo la quale, dopo tutto, i fascisti non erano poi così cattivi (meno che mai paragonabili ai nazisti) o che Mussolini altro non era che una specie di innocuo pagliaccio.

Ebbene, questo “pagliaccio” era un opportunista, era disposto a tutto pur di prendere il potere, era un narcisista, un invidioso, un maschio tossico che trattava malissimo le donne (a partire da sua moglie); era un insicuro, un bugiardo, un individuo senza alcun senso dell’onore. Ma non era uno stupido e seppe fiutare l’aria: «Sono come le bestie, sento il tempo che viene». Quando si prepara a riscuotere gli onori di un teatro gremito, poco prima di recarsi a Roma per ricevere dal re l’incarico di primo ministro, Marinelli-Mussolini ci spiega chi davvero sono i “pagliacci” in politica. Sono quelli che noi non capiamo ma questo è irrilevante: sguardo fisso in camera, pollice su, e una frase che suona tanto famigliare quanto sinistra: «Make Italy Great Again».

Qui sta il grande pregio di questa serie: nel raccontarci l’incubo del fascismo con un linguaggio comprensibile, M – Il figlio del secolo ci parla di noi, della società di oggi, delle dinamiche e dei protagonisti che – mutatis mutandis – si ripropongono e si attualizzano, così uguali e così diversi, in Italia e nel mondo.

C’è una cosa che dovremmo imparare dal Mussolini protagonista della serie: la capacità di sentire il tempo che viene e agire di conseguenza. Per smascherare i pagliacci e fermare le bestie.

Alberto La Via

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